L'annoso problema degli informatici che discutono della RAL

edit: siccome l'articolo è evidentemente un po' criptico e molti di voi sembrano saltare alla conclusione che questo articolo inviti a non discutere di RAL prima di arrivare al fondo dell'articolo dove invito a fare esattamente il contrario, aggiungo un disclaimer anche qui: l'analisi condotta nell'articolo non è volta a limitare lo scambio di informazioni tra tech worker in merito ai compensi ma al contrario, vuole sottolineare come questa discussione sia condotta in maniera sconclusionata, confusionaria e caotica, cosa che ne limita l'utilità a navigare il mondo del lavoro, far emergere forme di sfruttamento o a costruire solidarietà coi vostri pari

Chi non partecipa alle comunità online per programmatori e sistemisti è probabilmente ignaro del peculiare brusio creato da dozzine di informatici che elaborano con grande enfasi teorie sulla loro RAL, su quella dei loro amici e su quella dei presenti. RAL, per chi non lo sapesse, significa Retribuzione Annua Lorda ed è la misura con cui in diverse professioni i dipendenti possono confrontare gli stipendi offerti da diverse aziende in maniera veloce.

Per gli informatici, ma non solo per loro, la RAL è assurta ad unità di misura sociale, rimuovendo la necessità di utilizzare il proprio salario per comprare oggetti che mostrino status. Lo status, per gli informatici, è esclusivamente intellettuale. La logica tecno-machista vuole che il tuo valore come essere umano dipenda dalla tua capacità di scrivere codice, creare tecnologia, sviluppare sistemi. Più sei bravo, più sei degno. La competenza tecnica come misura morale e sociale.

Alcuni possono vedere una conferma di questa capacità nel successo del proprio software: dai grandi nomi dell'informatica fino agli sviluppatori di piccole librerie di successo. Però questi sono una frazione infinitesima del totale e tutti gli altri sono lasciati a misurarsi l'uno con l'altro utilizzando metriche proxy che approssimano la propria competenza tecnica, notoriamente complicata da misurare in maniera oggettiva e deterministica.

A ciò si aggiunge il fatto che la nuova organizzazione del lavoro, pian piano, punta ad un'orizzontalizzazione dei processi aziendali, celebrando l'agilità delle strutture piatte in contrapposizione alla rigidità e lentezza di quelle piramidali. In Italia questa transizione è matura nelle idee ma abbastanza assente nelle realtà lavorative, irrimediabilmente managerializzate e verticali. Un Dio-Padrone in cima, vari livelli di manager in mezzo e in fondo chi lavora. Questo stato di cose impedisce di misurarsi l'un l'altro in base alla posizione nelle gerarchie aziendali, poiché a salire troppo nella piramide si diventa qualcos'altro, soggetti a regoli sociali diverse, finendo in un universo parallelo fatto di meeting coi manager del cliente, presentazioni con gli € invece che coi diagrammi di flusso, cene a base di pesce e cocaina. Un po' come gli alieni di Toy Story sollevati dal braccio meccanico per andare in un posto “migliore”.

Ecco quindi che, perlomeno nel contesto italiano, questo ruolo viene assunto dalla RAL. Facendo l'equazione (ovviamente sbagliata) che il proprio salario è direttamente proporzionale alla propria competenza tecnica, discutere di RAL diventa uno strumento fondamentale di interazione sociale. La parte più interessante è che queste interazioni, come saprà chi le ha osservate, sfuggono ai cliché tradizionali dei discorsi materialisti di chi ostenta il proprio stipendio.

Sono in pochi infatti a mostrare una RAL alta con tono snob e con l'intenzione di umiliare il prossimo. Ci sono ma nella maggior parte degli ambienti vengono presto castigati e ostracizzati. Vengono tollerati invece quelli che utilizzano storie di stipendi alti per promettere e promettersi la salvazione. “Tizio è arrivato a prendere 50k in Italia: è possibile, basta impegnarsi e volerlo”.

Discutere di RAL diventa più un esercizio divinatorio, una sorta di astrologia in cui osservando alcuni sintomi di cambiamenti sistemici e rapportandoli alla propria condizione personale, si può determinare se si è degni o meno, o se si ha una speranza di elevarsi a breve.

Questa attività è divinatoria perché ignora tutti i fondamentali principi della statistica e dell'economia ma procede per una confusionaria elencazione di storie lasciando al singolo un'interpretazione soggettiva: “io prendo 27k a Milano ma ne prendevo 32 a Roma”, “conosco uno che prende 30k da neolaureato”, “una volta a mio cugino hanno offerto 35k come mid java developer”, “ahhhh all'estero pagano di più. Ho saputo di uno che è andato in Estonia e ha raddoppiato lo stipendio. E lì il costo della vita non è mica come a San Francisco, dove con 100k al massimo vivi in una stanza condivisa”.

L'obiettivo ultimo non è un'analisi economica del settore: ne esistono di professionali fatte da associazioni di categoria e non vengono mai minimamente tirate in ballo. I freddi numeri non raccontano storie. Gli stipendi medi o mediani non accendono la speranza di avere un domani uno stipendio alto, anche se per ovvi motivi la quasi totalità dei partecipanti avrà stipendi più vicini al centro della campana. Questo modo di creare senso non è in ultimo molto dissimile dal modo in cui gli informatici sviluppano le proprie pratiche e i loro giudizi sulle questioni di produzione del software: in assenza di un campo scientifico capace di dare risposte sui problemi dello sviluppo software, il settore procede accumulando storie di successo e imitandole, facendone sintesi che si sedimentano e acquisendo col tempo sempre più credibilità fino a diventare mitologia, a volte anche in aperta opposizione ad una sopraggiunta risposta scientifica su un determinato tema.

Come per l'astrologia poi, questo complesso sistema divinatorio funziona non perché è capace di dirci qualcosa di affidabile sul presente o sul futuro ma perché diventa una scusa per mettere sul tavolo altri problemi senza essere troppo diretti e violare barriere sociali. La RAL serve come copertura per arrivare a parlare di stress, di straordinari non pagati, di sfruttamento, di politica nazionale, di una classe manageriale antiquata e in ultimo anche di quei valori che raramente trovano spazio nelle comunità tecniche: “certo, prendo un po' di meno ma il lavoro che faccio aiuta tante persone nel quotidiano quindi è ok” oppure “mi pagano meno di quanto potrei prendere altrove ma sono in una cooperativa che è allineata ai miei valori politici”.

Qual è quindi l'obiettivo? A mio parere la risposta è da ricercare nella crisi di significato che pervade il mondo della tecnologia digitale e in particolare quello italiano. Siamo stati bombardati per anni dall'ideologia californiana per cui noi informatici abbiamo il potere di cambiare il mondo, disruptare (sic.) interi settori, rivoluzionare l'esistente. In California questa promessa è stata chiaramente e prevedibilmente disillusa, trasformando l'ecosistema startup in una fabbrica di monopoli distopici(Google, Facebook, Amazon), di attori economici tossici (AirBnB, Uber, Lyft, i vari food delivery) e di attività criminali (Theranos, WeWork). In Italia non abbiamo nemmeno avuto il privilegio di fare qualcosa di malvagio: il grosso dell'IT italiano è condannato alla noia.

Da un lato quelli che fanno un lavoro significativo e importante creando infrastrutture critiche e software affidabile usato effettivamente dalle persone; questo è un lavoro di disciplina, metodo, costanza, pazienza e raramente può essere raccontato con gran fanfara.

Dall'altro lato le orde di bullshit jobs tecnici: lavori e attività che esistono esclusivamente per estrarre profitto da qualcuno, per accontentare un manager di qualche banca o assicurazione, per risolvere problemi creati da altri bullshit jobs.

Niente fuochi d'artificio per l'IT italiano. Chi prova a rubare la narrativa californiana e ammantarsi della stessa importanza, chi riutilizza le stesse parole, le stesse idee di “rivoluzione” per descrivere un lavoro che spesso consiste nello sviluppare qualche app per il telefono che galleggia a malapena nel ranking del PlayStore di Android, nel privato delle comunità viene regolarmente accolto con derisione per la propria mancanza di senso del ridicolo. Lo stesso trattamento viene riservato ai giornalisti conniventi considerati ingenui o ignoranti.

In questa continua tensione tra l'imperativo di rivoluzionare tutto e la realtà del non star facendo niente di radicale, si apre un ampio varco per un sistema di valore individuale alternativo e quindi la RAL, come proxy della competenza tecnica, fiorisce. Se a Londra o San Francisco è normale misurarsi l'un l'altro in base alla figaggine e alla trendyness della startup per cui lavori, in Italia questa danza sociale viene condotto creando una mappa di data point sugli stipendi altrui e posizionandovisi sopra.

Le discussioni di questo tipo vanno quindi prese, a mio parere, come un sintomo di un problema più profondo di perdita di significato e valore del lavoro. Un'istanza specifica di una situazione comune nell'era del tardo-capitalismo e in netto peggioramento negli ultimi anni, in cui le grandi narrative sul lavoro colano a picco insieme al livello di benessere e stabilità economica.

La conclusione che ne possiamo trarre quindi è che dovremmo insistere sullo sganciare il lavoro e il salario dal valore della persona; una logica malata che oggi sembra sulla via del tramonto ma che ancora resiste e si riproduce in alcune bolle sociali come la nostra. Poi dovremmo ritornare a parlare della conquista di un impatto radicale sul mondo senza cadere nel canto delle sirene che arriva da oltreoceano, ormai fuori tempo massimo ma che con il solito ritardo che contraddistingue l'Italia, trova ancora terreno fertile nella stessa classe manageriale politica e antiquata che cerca di svecchiarsi mettendosi uno smartwatch. Infine ripristinare una discussione sui salari che sia guidata da strumenti più razionali e con l'obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro per tutte e tutti, invece di un logorante brusio di individui vuoti di consapevolezza e di intenzioni.

Parlare di RAL su internet è uno sport appassionante ma in questi termini e con questi modi caotici non aiuta a navigare un settore sempre in rapido mutamento e sempre più stratificato. Parlare di RAL coi colleghi, iniziativa estremamente rara nell'IT, può invece portare a cambiamenti molto più concreti nell'immediato, porre le basi per relazioni più solide e solidali coi vostri pari. Nessuno si salva da solo e sapere le cose non cambia le cose. Il mercato del lavoro non è una divinità lontana da comprendere ma uno strumento fatto da umani e da utilizzare e influenzare per migliorare le nostre condizioni di lavoro. Pensateci ogni volta che parlate di RAL.