7 tips per il tech worker che non vuole farsi fregare durante un licenziamento di massa

Ormai anche i meno consapevoli si sono accorti che le startup raramente seguono l'andamento del mercato: l'umore degli investitori conta molto di più e se la recessione tarda ad arrivare, pazienza! Si taglia comunque.

Da circa sei mesi il settore tech sta venendo falcidiato da licenziamenti di massa, sia in ambito corporate che startup. Con i grandi nomi tipo Facebook, Amazon e Twitter che hanno dato il segnale, i venture capitalist di tutto il mondo hanno iniziato a fare pressione sulle loro startup dettando una linea molto chiara: i lavoratori tech guadagnano troppo. Sia quelli strapagati in California, sia quelli che arrivano arrancando alla fine del mese. Vanno messi in riga e per farlo, bisogna operare licenziamenti di massa e fare pulizia.

Nel mezzo di queste manipolazioni del mercato del lavoro ci siete voi, che speravate di essere sfuggiti al tritacarne della consulenza e vi siete fatti in quattro per una startup che consegna tappi per le orecchie a domicilio. Sempre meglio che fare slide fino alle 9 di sera.

Magari potete essere come i tech worker di Casavo che ne ha lasciati a casa il 30% oppure potete essere ancora ignari della tempesta che sta per arrivare nella vostra azienda.

In ogni caso è importante capire il modello, che io chiamo “licenziamento da cowboy”, con cui vengono svolti questi licenziamenti di massa, tanto in USA quanto in Italia o nel resto d'Europa. I tratti sono molto simili ed è chiaro che il grosso delle aziende sta convergendo circa sulla stessa strategia.

Vediamo di capire, in parole semplici, come funziona il “licenziamento da cowboy”.

1) A ciel sereno il CEO pubblica un post su LinkedIn e magari su qualche giornale che gli fa la marchetta dicendo che taglia il 10/20/30% della forza lavoro. 2) Contemporaneamente o poco dopo indice una call con tutti i dipendenti ripetendo quello che c'è scritto sui giornali. Chiarisce qualche dettaglio ma non specifica esattamente chi è impattato dai licenziamenti. Questa incertezza è ambiguità è fondamentale per creare incertezza e insicurezza nella psiche del lavoratore. 3) Iniziano colloqui uno a uno o team per team in cui viene comunicato chi è impattato e viene offerta una buonuscita in cambio della rinuncia a qualsiasi diritto e tutela. Questa in gergo, in Italia, si chiama “intimidazione” ed è illegale. A volte è condotta con le buone, a volte con le cattive. L'obiettivo però rimane lo stesso: aggirare le leggi nazionali sui licenziamenti collettivi e convincere i lavoratori ad accettare la buonuscita. 4) Si dà una deadline molto breve per sfruttare il senso di paura e incertezza del lavoratore e far sembrare le mensilità offerte come un favore, impedendo al lavoratore di farsi troppi conti in tasca e capire effettivamente cosa gli conviene. 5) A seconda di come viene condotta questa strategia intimidatoria, a seconda del livello di organizzazione dei lavoratori e a seconda di vari altri fattori, più o meno persone firmeranno questo accordo privato e procederanno a lasciare l'azienda. Quelli che non firmano, a seconda di quanti sono, potrebbero andare incontro a un processo di licenziamento individuale o collettivo. 6) Durante questi processi possono succedere cose diverse a seconda della presenza sindacale, della consapevolezza dei lavoratori e a seconda della volontà dell'azienda di farla sporca. 7) Il tutto quindi può concludersi con un reintegro, un licenziamento collettivo con tutte le tutele del caso o qualche accordo porcheria mediato da un sindacato di comodo che si presta a firmare condizioni svantaggiose per i lavoratori.

Capito un minimo il meccanismo, come tutelarsi?

Spero che questa guida possa esservi utile a navigare questo periodo di crisi e incertezza. Ricordatevi: nessuno si salva da solo.